Ho avuto il piacere di ascoltare il dott. Massimo Buratti, direttore di comunità psichiatriche, psicologo e docente, che durante la sua lezione ci ha accompagnati in un viaggio dentro le dimensioni della sofferenza.
La riflessione parte dall’idea occidentale che la sofferenza sia qualcosa da dover eliminare a tutti i costi, che non sia normale. Siamo abituati a trattare la sofferenza come qualcosa di estraneo che ha una propria esistenza e che secondo i più non dovrebbe stare in questo mondo. Ricadrebbe sotto la lista delle cose ingiuste che costellano la vita delle persone.
La domanda che ci siamo posti è se si può considerare la sofferenza come cosa ingiusta? Dovrebbe essere trattata come un cancro da eliminare a tutti i costi?
Considerare la sofferenza come qualcosa contro la giustizia, significa ammettere che possa esistere un mondo giusto, a mio avviso ideale, dove non ci sarebbe dolore.
L’altra domanda è: anche se la malattia porta sempre sofferenza, la sofferenza è sempre malattia? No. Non tutta la sofferenza è malattia.
Infatti se provassimo a smettere di pensare alla sofferenza come un alieno invasore vedremmo che la sofferenza è uomo, scopriremmo la sua dimensione esistenziale che la colloca come parte integrante della vita, come una sua dimensione fisiologica, e come tale è impossibile liberarcene. Cosa fare allora?
Iniziare ad accettare alcune forme di sofferenza, quelle quotidiane, quelle che non sono ne patologiche e ne cronicizzanti, e convivere con esse, elaborarle ed essere consapevoli che si ripresenteranno nel corso della vita, ed è assolutamente normale.
Avere alcuni momenti di tristezza, malinconia, lutto, sono solo stadi naturali, non sono inconvenienti, non sono appendici scomode da tagliare via chirurgicamente o da curare con qualche pastiglietta. Non fanno parte dell’ingiusto.
Capite bene che a seconda del pensiero che sta a alla base di un concetto cambia radicalmente il trattamento che gli riserviamo. Se la sofferenza è anormale, la si vuole espellere, se è normale si cercano strategie per stare al mondo con essa.
E’ difficile ammettere che l’uomo del 2018 sia fatto anche di dimensioni più oscure oltre a quelle luminose, ma bisognerebbe resistere alla tentazione di medicalizzare qualunque aspetto negativo che non ti permetta di essere produttivo 24 ore al giorno tutto l’anno. Il mondo dovrebbe ammettere le pause, i momenti no, un tempo per curarsi senza discriminare e senza basare le scelte solo su logiche economiche e politiche.
Capita di stare male, a volte è meglio abbracciare questa sofferenza che respingerla, perché tanto prima o poi torna come un boomerang più forte di prima.
Alla prossima!
Ciao Elisa,
articolo molto interessante. Dammi il tempo di comprenderlo a fondo, elaborarlo e…chissà forse an che accettarlo.
Ti ricordo con affetto
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Cara Elisa sono Massimo Buratti ed ho letto con piacere il suo articolo, anche se mi è stato segnalato solo ora.
Mi fa molto piacere rivedere nelle sue parole le mie fatiche e, se crede, rimango a sua disposizione per approfondimenti.
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